STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


01 agosto 2013

Vacaciones...con moto.



scena dal film "Krampack" di C. Gay, 2000
È l'incantesimo di agosto: di colpo più nessuna mail. Anche i commenti rapidi  su Facebook (troppo rapidi per i miei gusti) si diradano improvvisamente: è il deserto virtuale, elettronico o comunque lo si voglia chiamare. Ci sarà qualcuno che si suicida tra i rimasti, dico io, perché la sensazione di isolamento si acutizza in maniera immediata. Evidentemente, pur sottovalutato da tanti - me inclusa - la presenza dei contatti in rete, quelli a distanza, crea un sottile substrato affettivo che in certi momenti consola, rimpiazza, fa massa o comunque rimpolpa ogni agenda privata di sporadiche entità, fluttuanti, ma effettive, certe, in questo mondaccio che se ne va in malora.
È tempo di mare, di sole. Di viaggi in moto. Io ho fatto solo un giro, ieri, ma mi sono chiesta: qual'è il viaggio vero, ogni volta? I chilometri effettivi? O il regalo di leggerezza offerto dal movimento dinamico, che mette in azione un pensiero parallelo, nuovo, e sempre stimolante?
Oggi propendo per il secondo, perché mi va, o forse perché ho già fatto le mie vacanze.

Senza potere né voler includere TUTTE le apparizioni della moto nel cinema nel mio libro, oggi vorrei dare spazio qui ad un piccolissimo esempio che ho escluso per ragioni logistiche (di scelta saggia, evitando l'accumulo) e non perché non lo consideri degno di nota.
Parlavamo di vacanze in moto. Al mare. E di un viaggio alternativo, mentale, indotto dalla moto che, in questo caso, può anche restare immobile, fuori dal garage.
È il caso della piccola Montesa rossa che il giovanissimo Nico ha tirato fuori dal garage dell'amico Dani, da cui è andato a trascorrere le vacanze estive, nella sua casa al mare, vicino a Barcellona.
Krampack (N. Gay, 2000) sembrerebbe un altro di quei film dove la moto-comparsa resta sullo sfondo, trascurabile. E invece, secondo me, la sua presenza discreta risulta simbolicamente notevole nella trama. Nico e Dani sono due adolescenti che approfittano del sole estivo e di una casa vuota per avvicinarsi all'inquietante mondo femminile e sondarlo, approfondirlo, conquistarlo. Alla fine delle vacanze, Nico potrà raccontare la sua prima esperienza sessuale con Berta, mentre Dani, più introspettivo e timido, avrà sperimentato l'amore per gioco con il suo amico e compagno d'avventure..Nico.
L'aspetto interessante è che l'avvicinamento al mondo misterioso delle donne - ma anche all'amore e al sesso in senso lato - viene compiuto da Nico in parallelo con il restauro della Montesa in disuso nel garage del padre di Dani e che evidentemente, dall'anno prima, gli è rimasta nel cuore. Smontare il mistero...smontando un motore; imparare le necessità e le funzioni degli ingranaggi di un corpo metallico...ma anche quelli altrettanto complessi che formano una mente umana e  un corpo femminile, dapprima irraggiungibile, poi via via sempre più familiare.
A Berta piace che il suo ragazzo giochi a fare il meccanico...Glielo dice chiaramente, come se la sua sensibilità apprezzasse in lui il desiderio  di CAPIRE prima di USARE; di CONOSCERE prima di GODERE. Una gran bella regola, che dovrebbe essere contemplata non solo dai motociclisti che imparano a guidare ma da tutti gli uomini, in generale.
Quindi occhio, a considerare questo piccolo film spagnolo un innocuo raccontino sulla maturazione sessuale di due adolescenti sotto il sole d'agosto - anche se ha fatto scappare diversi dalla sala, a quanto pare, per allusioni evidenti all'omosessualità. Si tratta di qualcosa di più profondo, ecco, e se ha scioccato qualcuno, tanto meglio.
E occhio alla moto: giocare a fare il "meccanico", in realtà, può insegnare a vivere chi accetta di farlo con più curiosità che impazienza...



10 maggio 2013

Al rogo l'ignoranza



Mi associo all’opposizione che oggi stigmatizza la ricorrenza di una delle tante date tragiche della Storia che si ripete: il 10 maggio 1933 i tedeschi di Berlino assistono muti o consenzienti al rogo che i nazisti fanno di un monte di libri ritenuti sospetti o contrari ai principi del Reich. La carta sfrigola; le ondate di fumo e il crepitio, sfogliano per inerzia le ultime pagine di capolavori, prima che si riducano in cenere... Ma le idee contenute restano: non solo nella memoria e nei cuori di chi le ha lette. Nell’aria: si nebulizzano, stanziandosi al di sopra delle teste di legno ipnotizzate dal fuoco, e dei dittatori che berciano la loro falsa rivoluzione: auto-celebrazione, in realtà, dovuta a frustrazioni personali.
"Cronache di poveri amanti"
Il mio contributo a questa rievocazione, è una sequenza da uno dei film che preferisco sul tema: nel 1964, Carlo Lizzani racconta il fascismo alla riscossa in Cronache di poveri amanti. Ambientato a Firenze nel 1925, il film racconta la vita degli abitanti del quartiere di Via del Corno. Tra questi c’è il fabbro Maciste, soprannominato così per le sue dimensioni di gigante buono. Una mattina, Maciste fa il suo ingresso nella via in sella ad una Harley Davidson JD 1200 (buona citazione: la moto in effetti è del ‘26). Evidentemente, oltre a ferrare i cavalli, ha un debole per quelli a motore: basta vedere quant’è orgoglioso della sua moto mentre la mostra ai vicini, col motore al minimo. Bene: l’evoluzione della storia prevede che Maciste e l’amico Ugo, antifascisti, compiano un’azione eroica durante una nottata in cui, con il sidecar, vanno a prelevare e a portare in salvo dei compagni perché non finiscano nelle mani delle camicie nere. I fascisti li intercettano, e inizia l’inseguimento per il labirinto delle vie del centro. Quando si vede perduto, il buon Maciste esorta Ugo a saltare dal carrozzino per tentare la fuga. Lui obbedisce, ma il salto disequilibra il sidecar, Maciste perde il controllo e finisce contro le gradinate della chiesa di San Lorenzo: i fascisti si accaniscono su moto e pilota, finendoli con le pallottole. Una, evidentemente, centra il serbatoio della benzina, che prende fuoco. È un rogo. I roghi antichi, in effetti, si facevano nelle piazze centrali, davanti alla chiesa, che era poi l’ente che li commissionava, giustificata dalle sue idee e dalla sua ignoranza. Auto-celebrazione....Suona familiare a quel che faceva Hitlerino coi suoi baffetti, no? Solo che la sua morale lo portò ad un genocidio di massa dietro il filo spinato dei campi: un rogo più discreto e senza clamori, occultato (soprattutto per chi non voleva vedere). Alle fiamme vere condannò solo la cultura, la carta.
Ieri meditavo...sull’onda della rinascita provata in sella alla mia “vecchia” tedescona. Finalmente ho potuto prenderla e farci un giro lungo: ho rivisto panorami che non vedevo da tempo, prima del lungo inverno ed anche prima della nascita di mia figlia.. Per fortuna uno non disimpara a nuotare: le passioni ritornano intatte, prima o poi.
Comunque: facendo tappa sul Passo del Giogo, mi sono trovata a mangiare il mio panino in mezzo ad una banda di motociclisti tedeschi: moto miste, stradali, moderne, bi- e quattro cilindri, e c’era anche qualche custom nuova (?). La mia moto era l’unica a marcare il tempo, anziana rispetto alle loro. Ci siamo ignorati. Io li guardavo mentre parlavano, di moto, presumo. Ah! C’erano anche tre italiani, anche loro su mezzi misti: una BMW nuova, una giapponese...e uno scooter. Cosa manca? Mi sono chiesta. Cos’è cambiato rispetto a quando venivo qui con la mia SR, vent’anni fa (a parte il fatto che non sono più una ragazzina)? La curiosità, forse. La sua mancanza ha generato appiattimento, incapacità di comunicare...Ignoranza. Perché non c’è barriera linguistica che tenga davanti ad una passione in comune, e la mia moto rappresentava la “cultura” tra le loro: il passato, la storia. Sì: sono tanti i fuochi simbolici, oggi, appiccati dalle teste di legno di questo mondo rincretinito..
Chiudo con una curiosità sul film, visto che è il mio mestiere: tratto dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini, “Cronache di poveri amanti”, per scritto, ci parla di una “Harley 750”. Errore: la Harley 750 fu prodotta nel 1929, mentre la storia si svolge qualche anno prima. Siamo davanti ad un caso raro: è il regista Lizzani, infatti, che pur senza volere, corregge l’errore di Pratolini rivolgendosi ad un collezionista fiorentino, perché gli fornisca una moto. Il collezionista, evidentemente più preparato, gli offre la JD 1200. Sul finale però, non potendo ovviamente incendiare quella, Lizzani optò per  un residuato bellico di poco valore: una WLA 750 del ’42. Ed è questa, con il suo serbatoio rotondo ben riconoscibile, che finisce in fiamme. Un peccato, comunque.

05 aprile 2013

Lettere, moto e filosofia.

Stamattina, mentre guidavo il mio aereo del '91 nella pioggia (in attesa di guidare quello vero, la mia GS, quando la primavera diventerà un po' più tiepida), ho ascoltato su radio 3 un'intervista sul nichilismo, ad un filosofo col quale ormai più di 20 anni fa ho dato un esame all'università, Sergio Givone.
Forse per le analogie semplici che portava ad esempio (il nichilismo adottato dalla società attuale nelle sue varianti culturali e politiche) ho capito una cosa fondamentale. Che il motivo per cui faccio tanta fatica a capire certe dinamiche della vita e dei sentimenti, e la causa per cui scrivo forse "più complicato" di quel che dovrei, è che non mi sono mai applicata abbastanza per capire la filosofia quando dovevo studiarla ai tempi del liceo. Purtroppo, è un  mio rimpianto.
Credo che all'epoca non fossi abbastanza stimolata da chi mi stava intorno. Non ero circondata da persone di cultura; magari da brave persone, motociclisti appassionati, fuoristradisti soddisfatti e improvvisati meccanici, generosi insegnanti di guida. Ma di andare in profondità non se ne parlava ancora. Curiosamente, perfino all'interno della mia stessa famiglia, a quanto ricordo, il dialogo si manteneva cauto e in superficie. Forse perché sapevano che alla mia età (di allora), si ascolta solo ciò che si vuole.
In più, avevo un professore di filosofia che probabilmente avrebbe dovuto fare il filosofo e non il professore: non sapeva insegnare a chi, come me, aveva bisogno di tempo per addentrarsi in una materia che sentiva ostica. La mia amica Silvia, per esempio, lo ha amato, e grazie a lui ha studiato storia e filosofia all'università, e oggi insegna a Parigi.
Io non ho mai capito niente di quel che diceva il Prof. Ciuffi.
Mi mancano i filosofi, e credo che per questo mi ritrovo a sapere davvero poco della vita. È così, mi sento nuda, oggi! Sto già cercando di recuperare i vuoti di tanta letteratura classica...se solo penso a quanti vuoti ho in filosofia, comincio a capire chi dice che una vita sola non basta per recuperare il tempo perduto.
Non ricordo come passai l'esame con Givone, non male credo, ma ricordo, questo sì, che Kierkegaard mi sembrò più interessante di tutto il libro di filosofia studiato al liceo: la fase "estetica" di cui parlava, collimava alla perfezione con la vita condotta da mio fratello, allora, e ce l'avevo davanti tutti i giorni come l'esempio calzante. La fase "etica" successiva, se mi sfuggiva allora, posso dire di averla capita adesso, e corrisponde alla fase che mio fratello crede di aver raggiunto, col massimo dei voti.
Era un libro usato quello del liceo, sporco e pieno di sottolineature doppie e triple, e senza volermi giustificare, credo che anche quella copia così malmessa, mi impedì di far "mia" la materia. Peccato però..perché indietro non si torna.

Soltanto stamattina ho visto chiaro che la filosofia è come la matematica (e ho perso anche quella!!! come scienza, intendo..solo una tonnellata di esercizi all'anno, senza nessuna poesia): sta TUTTO lì. Il mondo, la vita. Non starei a perdere tanto tempo se le avessi studiate e comprese alla perfezione. D'altra parte...forse non sarei neanche scrittrice, se in questo momento avessi le idee tanto chiare...e così: coraggio! non tutti i mali vengono per nuocere. Ho sempre creduto che la mia "filosofia" personale è nata e si è evoluta abbracciando il mondo della motocicletta (non avrei scelto di viaggiare sul mio aereo svedese del '91 ma su un'utilitaria comune, in alternativa alla moto, se non fossi mai andata in moto....). Ma è vero che, ad essere onesti, questa ottica appare un po' limitata e limitante in confronto alla vita nel suo complesso.
Ieri ho ripreso il mio romanzo per le prime correzioni. Pensavo (con terrore) che dopo dei mesi m'avrebbe fatto schifo o lasciata indifferente (peggio), e invece l'ho trovato fluido e forte come un fiume in piena. Segno che devo continuare, forse riscriverlo parzialmente, ma dargli VITA prima di lasciarlo a se stesso e a un agente letterario...C'è chi si crede filosofo e ingegnere insieme, e sostiene che i figli sono  "progetti"da portare a buon fine. Non sono d'accordo. Nemmeno i romanzi si possono chiamare "progetti": sono idee partorite durante momenti di follia, e ci fanno condurre una doppia vita. Quanto a mia figlia in carne ed ossa, preferisco pensare che sia stata l'ultima incoscienza della mia vita. Messa in atto senza neanche le basi minime di filosofia. E ora: chi mi sa dire di che aereo svedese parlo?

18 marzo 2013

Verso la giusta via?




Non ho paura di dire la mia sul nuovo Papa, da atea convinta, specie da quando ho saputo che il papa precedente sosteneva che proprio gli atei dimostrano spesso una spiritualità più autentica dei praticanti che si credono giustificati dalla propria fede dichiarata.
sposarsi sul sidecar..perché no?
Non posso negare che la prima vista di questo Francesco, e l’ascolto delle sue prime parole, mi ha rimandato spontaneamente al ricordo che conservo con affetto dentro di me, di un frate francescano che quando lavoravo in città incrociavo spesso in moto...io sulla mia Yamaha SR e lui sulla sua vecchia Guzzi (una V50, se non ricordo male). Guidava col saio addosso e i sandali, e al massimo metteva una giacca a vento azzurra sul saio, se proprio il tempo era di merda. Peccato che un vecchio integrale in testa mi abbia sempre impedito di vederlo in faccia. Ma era senza dubbio un essere “eccezionale” cioè:  faceva eccezione, non solo tra i frati, ma tra gli uomini. Un’immagine perfetta: con una moto dall’aspetto vissuto come un vecchio cane fedele, non dava l’idea di possedere un bene materiale inacettabile, ma solo uno strumento che evidentemente gli era comodo per le sue peregrinazioni in una società moderna e caotica. Pensandoci meglio, l’atteggiamento da outsider del nuovo Francesco mi ha ricordato anche quell’indimenticabile scena di uno dei primi film comici di Buster Keaton, The scarecrow, dove due fidanzati in fuga su un sidecar imbarcano casualmente un prete e lo incaricano di sposarli proprio mentre scappano: Buster, tenendo coi piedi il manubrio della Harley, svita un dado dal serbatoio e lo infila al dito della sposa nel carrozzino per sigillare l’atto, dopodiché finiscono a mollo dentro un fiume, senza che il prete faccia una piega, finendo di officiare la cerimonia in piedi, tra la moto e il carrozzino: degno, amorale, paziente, amabile.

Con questo, non che mi faccia troppe illusioni, ma nutro umanamente fiducia che quest’omino semplice possa mantenersi incorrotto, e risultare davvero un punto di svolta. Forse perché quel che è sempre apparsa immutabile come la mafia e la camorra, in Italia, incancrenita nei propri costumi ambigui, è la Chiesa, e la possibilità che si sia potuto insinuare qualcuno in grado di far tremare le fondamenta, è qualcosa che mi riempie di eccitazione.

Un gran modello di efficienza, poi, questa Chiesaccia: mentre grillini, vespe e calabroni si azzuffano nei loro ambienti e non riescono a venire a un accordo, vescovi e cardinali risolvono la questione in un lampo, e abbiamo prima il papa nuovo che un parlamento accettabile, in grado di tirarci su dal fango. Questo mi ricorda più una scena alla Peppone e Don Camillo, dal momento che i cattolici infestano l’ambiente politico, e i peggiori di loro hanno nel DNA proprio l’istinto di battibeccare con quelli di sinistra, ovvero: non di difendere i deboli, o i poveri, ma la Chiesa e il suo potere. Ricordo che da bambina ridevamo, mio padre e io, guardando gli episodi di Don Camillo e Peppone: in fondo erano due buoni diavoli entrambi, eppure, visti più da lontano, oggi, erano il più efficace ritratto di un paese tendenzialmente “al maschile”, votato all’infantilismo, all’individualismo, alla zuffa.
la moto di Peppone, rifatta dall'amico C. Frontalini
Naturalmente non posso dire di essermi fatta una cultura sul nuovo Papa, rivedendo sul web il suo intervento e le interviste, quanto ne dicono in Italia e in Spagna. Il linguaggio clericale mi annoia terribilmente, mi asfissia come il puzzo d’incenso nelle chiese. Ma mi sono fidata dell’istinto che me lo ha fatto trovare simpatico. Come quel frate motociclista, che farà sempre parte dei miei ricordi migliori di quando ero una giovane osservatrice  appassionata, impaziente, e non avevo ancora fatto crollare, in me, certi miti infantili che mi oscuravano il cammino per la giusta via...verso la transigenza, la tolleranza e l’autoironia. La via della rivoluzione, almeno nel mio caso (e che rivoluzione sia, quando non c'è alternativa).

Infine: sembra che cattolici e NON cattolici abbiano affollato la piazza per non perdersi “un avvenimento storico”, per sentirsi parte della Storia, ed è curiosa questa necessità, di assistere all’ascesa di un altro...anziché curarsi costantemente della propria ascesa, intesa come maturazione intellettuale. Come possiamo lamentarci dell’assenza protratta di un governo diverso, se noi stessi dimostriamo di non aver bisogno d’altro che di pecorai, che sappiano guidare il branco?

03 marzo 2013

E poi c'è quella cattiva...



Non sono solo io quella impaziente per natura.
La fiamma del peccato
Lo sono anche da sempre i mezzi di comunicazione, come la stampa. Non parlo degli epitaffi che si preparano già quando il regista, il letterato o lo scienziato di  fama è in età avanzata, o in fin di vita. Perfino l’8 di marzo, come festa della donna, viene anticipato, nei programmi radiofonici per esempio, già una settimana prima. Ed è occasione, come al solito, di interessanti dibattiti, di esposizioni fotografiche, interviste illuminanti e retrospettive a tema. C’è anche tanta retorica. Di quella, tanto, non riesce a liberarsi nessuno, essendo ancora in vigore una forma di censura tacita: è opportuno parlare, infatti, restando sui binari della ragionevolezza e, in generale, del già detto. Guai a sbilanciarsi troppo o a provocare apertamente, scoperchiando le pentole da cui emanano i vapori delle minoranze, o dei casi scomodi.
Posso dire di essere una di quelle che sta dalla parte delle donne. Soprattutto negli ultimi anni mi trovo a nutrire simpatia perfino per le nostre debolezze o i nostri difetti più triti. La maternità, probabilmente mi ha avvicinata di più, e d’un botto, a certi lati femminili che un tempo consideravo noiosi, ripetitivi o molto convenzionali, e che oggi credo siano semplicemente...umani.
Comunque, l’esperienza di osservatrice che ho accumulato finora, a questo punto mi fa sentire anche certe vibrazioni minime quando avvicino una donna: se è provinciale, invidiosa, meschina o, al contrario, intrinsecamente coraggiosa, generosa, dignitosa nella sua semplicità (o insopportabile, in certa sua complessità inutile). E anche se non mi entusiasma - come la maggior parte delle volte - cerco di adattarmi ai suoi limiti, al suo linguaggio, perché voglio che mi senta amica, e si lasci scoprire come essere umano.
I fatti della vita, ultimamente, mi hanno portato ad individuare una sottospecie che raramente viene menzionata durante questi periodi celebrativi dell’8 di marzo, e che anziché indurmi comunque alla curiosità, mi irrita o mi fa scappare a gambe levate.
Gene Tierney in Femmina folle
La donna vessata, violentata, picchiata, offesa in ogni modo, è l’eroina costante messa in luce dal mondo della stampa e della cultura. E non ho niente da dire: perché si tratta di tantissime in tutto il mondo, vittime di atti ripetuti e sempre ingiustificati.  Eppure, c’è un esemplare, il cui difetto generico è generalmente l’insicurezza, una forma di immaturità nascosta che trova la causa in un’infanzia generalmente poco felice (spesso perché lei, la donna, non ha saputo esserlo) che da sempre è stata una piaga per il mondo maschile che ne ha sofferto e ne soffre l’influenza.
Questa fragilità interiore, occultata da un aspetto che magari le fa sembrare degli esempi infallibili di forza, di volontà, efficenza domestica e professionale, a un certo punto diventa la causa di disastri familiari, specie quando l’uomo di turno è un debole. Ossessione, iper-gelosia e stra-potere, si rivelano armi sotterranee e infallibili (ah! e le lacrime: piangono molto, queste donne), che finiscono per strozzare il consorte, e per portarlo spesso ad atti inconsulti.
Naturalmente non giustifico gli atti (la violenza, anche verbale, non è mai giustificabile!), ma in qualche modo arrivo a comprendere questi uomini, annichiliti da virago che spesso hanno l’aria e l’aspetto di angeli del focolare.
Rimando, come esempio, a tutte le cattive cinematografiche, assai reali, degli anni Quaranta e Cinquanta: la Barbara Stanwick di La fiamma del peccato, la Anne Baxter di Eva contro Eva, o la mitica secondaria Mercedes McCambridge (cattiva in tutti i film, ed evidentemente complessata anche nella vita, probabilmente una lesbica repressa)...O un titolo per tutti: Femmina folle, con Gene Tierney, che sembra la capostipite di questo genere femminile tanto complessato.
E in letteratura, finalmente posso segnalare uno dei miei libri preferiti, che quasi nessuno conosce: un capolavoro ingiustamente rimasto nell’ombra proprio come il “mio film”, Impatience, che è "Il caso Crump", dello scrittore di origine austriaca Ludwig Lewisohn. La sua protagonista femminile è il ritratto più umano che si possa immaginare di una donna vittima di se stessa, che arriva ad imprigionare un uomo innocente, musicista, nella rete del suo carattere impossibile, vittimista e violento, fino a far diventare lui il solo capace di ucciderla.
Non sarebbe esatto dire che ci si senta felici quando le spacca il cranio con un ferro da camino: in fondo, era solo una povera donna ignorante e ossessiva. Ma non si può negare di sentirsi risalire dallo stomaco un respiro di sollievo. Perché ci sono anche queste: le donne che non meritano d'essere festeggiate, né difese, né comprese; né l'8 di marzo né mai.

11 febbraio 2013

CADE LA NEVE...


La natura stende un velo pietoso su questo febbraio di campagne elettorali demenziali. Cade la neve, copiosa, su una realtà che almeno in provincia si respira immobile, in coma più che in attesa: sui disoccupati recenti e sui già da tempo senza lavoro; su bandoni serrati, attività chiuse per mancanza di fondi, su un traffico scarso per la benzina in rialzo. Sui soliti problemi.
È una coltre fitta, che da stamattina all'alba non accenna a smettere. Bella la neve, quando dà quest'illusione di pulizia luccicante col suo manto uniforme. Un tempo mi metteva allegria, ma oggi in particolare mi deprime, forse perché il cielo bianco-grigio che si porta dietro ne promette altra e altra, e ho il fuoristrada dal meccanico...
Ho fatto comunque un giretto fuori, assaporando il suono pieno dello stivale quando appiattisce lo spessore bianco, e respirando quel silenzio innaturale, tranquillizzante, che ti fa pensare a un mondo in apnea. Sarebbe auspicabile, in effetti, un po' di vero silenzio di fronte alla crisi generale che stiamo vivendo. Tutte le chiacchiere suonano così chiaramente...a chiacchiere, senza fondo, disoneste, inventate, temporanee; o anche magari oneste, ma così illusorie da far quasi rabbia. Se le raccontano, i politici. Basta guardarli dall'esterno, per capire che in fondo sono così lontani dalla risoluzione del problema. Davanti casa dei miei c'è un giardino quadrangolare con degli alberi. Da circa una settimana è stato recintato da enormi tavole metalliche, per incollarci su quei manifesti che esteticamente parlando sono tra le cose più brutte con cui si può imbrattare una città o un paese: una facciona, una frase, e il logo del partito. La neve oggi cade a tormenta, così che c'è da sperare che spinta dal vento possa occultare, se continua, anche quelle brutture e falsità.
Il cinema mi salva sempre nei momenti di bassa tensione. E ovviamente oggi mi è venuto in mente The Dead, l'ultimo film di John Huston tratto dal libro omonimo di Joyce. Non solo la scena finale, che vede appunto uno dei protagonisti guardare la neve che cade fuori dalla finestra di un hotel, ma proprio il pranzo tradizionale offerto dalle due anziane zie a parenti e amici, in Dublino.
Per tutta la durata del film, ascoltiamo certe chiacchiere che potrebbero anche non interessarci troppo: ricordi comuni, imbarazzi nascosti, ovvie malinconie; dialoghi sul filo delle buone maniere e di un'educazione rigida, ulteriormente imposta di fronte a due donne anziane che il rispetto e l'affetto spinge gli invitati a trattare bonariamente, coi guanti. Si balla anche, con lo stesso controllo e cautela nei movimenti; si suona e si parla di musica, ma sempre badando a non ferire la sensibilità di nessuno dei presenti. Poi, sul finale, il primo colpo di scena in mezzo a tanta (pur onesta) finzione e uniformità: una donna si commuove ascoltando un ospite tenore improvvisare un'aria davvero toccante. E nella scena successiva la donna, in hotel, si apre al marito, spiegando il motivo della sua commozione, e piangendo di nuovo al ripensarci: il ricordo di un amore giovanile, purtroppo scomparso in giovane età, proprio a causa dell'amore. D'un tratto le chiacchiere del film intero acquistano un senso nuovo: diventano interpretabili come il mormorio sommesso della vita normale, che gli uomini passano nascondendo ora agli altri ora a se stessi le verità vere..i sentimenti, le paure, i sogni, il loro io.
The Dead
La donna si addormenta, esausta dopo una rievocazione dolorosa, mentre l'uomo si attarda a guardare la neve fuori della finestra: la osserva cadere sulle case e la immagina coprire del suo manto uniforme le tombe degli esseri amati, dei morti per amore, che hanno vissuto più in pochi anni che in una lunga vita. E la cena, la festa, riappaiono come una malinconica danza di ombre; una pietosa sfilata di esseri indifesi di fronte alla propria mortalità, alla propria fragilità d'esseri umani.
Cade la neve, anche oggi, e allo stesso modo, mi sembra, su questa nostra collettività di illusi e di disillusi, di vittime e di boia. Cade, rendendo uniforme il destino di tutti e ridicoli gli sforzi di chi crede d'essere diverso. Cade sui vivi, e sui morti.