STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


18 agosto 2011

L'importanza della "i"

Quando ho dato una svolta alla mia vita, sei anni fa, c’è chi mi ha  considerato un po’ Incosciente. Dopo aver superato il concorso per ottenere l’abilitazione all’insegnamento, ero riuscita a tenere  la testa fuori dall’acqua i cinque anni successivi, trascinandomi da una scuolina di montagna all’altra. La “montaigne”....Ci andavo spesso in moto, a scuola. Credo che la mia immagine di professoressa “ ribelle”, in sella al mio vecchio e imponente bicilindrico, sia stata la migliore eredità visuale che ho lasciato ai miei studenti, insieme ai film che gli ho fatto vedere e ai libri che gli ho fatto leggere. Insegnare è un'arte, e nel mio piccolo potrei affermare di aver dimostrato a me stessa di saperlo fare a modo mio, con un certo risultato. Purtroppo attività come queste non viaggiano sciolte dall'istituzione sotto la quale svolgono o dovrebbero svolgere la loro funzione educativa, e il problema è la scuola. Non dico nessuna novità: la scuola fa schifo. Colpa degli insegnanti? Anche (l'Ignoranza di certi insegnanti...sembra un paradosso, eppure posso dire di averla sperimentata di persona. Come il contrario, beninteso). Più spesso l'Ignoranza di certi dirigenti, la tracotanza di chi ha in mano un piccolo potere e ne abusa. Ho sperimentato anche questo. E infine, l'Ignoranza dei genitori. Che sono stati studenti, resi ignoranti da altri professori, dirigenti, genitori, ecc. E la storia continua. L'utopia di migliorare le cose con le nostre forze resta, appunto, un'utopia, e seppure sia sempre meglio avercela, alla lunga si trasforma nella frustrazione di una maggioranza che si sfoga manifestando in piazza e poi torna a piegare la testa sulla cattedra.
Foto: Nathalie Krag 
...Comunque: la cosa si poteva dire già quasi fatta: anch'io avrei arrancato forse una quindicina d’anni ancora, come supplente occasionale, come Insegnante costretta a ossequiare i morti voluti dallo Stato con un minuto di silenzio e cose simili (obbligo che resi opzionale, spiegando la verità ai miei ragazzi - che era lo Stato ad averli voluti morti, quei poveretti in Afghanistan – che scelsero di restare in classe in silenzio o andarsene fuori in segno di protesta). Poi però, sarei diventata di ruolo. Di ruolo! Una schiava riconosciuta, pagata da uno Stato indifferente all’Istruzione, alla cultura.
Ero già un bel po’ frustrata da quella  scelta di vita cui mi avevano spinto le circostanze di allora nonché la Facoltà di Lettere e nel mio caso, la poca collaborazione dei miei insegnanti di Storia del Cinema. O forse, non lo nego, la mia poca capacità di districarmi nel mondo universitario per accedere ai dottorati di ricerca.
Poi. Il poi si è risolto in un anno: ho conosciuto il mio attuale compagno in Spagna, grazie alla moto. E l'anno dopo ho mollato l'insegnamento.
Nel 2004 avevo già ultimato la bozza del mio saggio sul valore simbolico della motocicletta nel cinema, così chiesi di poter collaborare con una rivista di moto d’epoca, a Madrid, scrivendo su quell’argomento. Il direttore accettò, e da allora diventai...giornalista? L’Imbecillità dei titoli non finirà mai di stupirmi; comunque, sì, diventai giornalista, scrivendo prima di cultura connessa alla moto, e poi, esauriti gli argomenti cinematografici, di personaggi ed eventi connessi a quel mondo, sculture su due ruote, viaggi, musei, ecc. Guadagno indubbiamente meno di prima, ma sono libera. I giornalisti? Non ne conosco, personalmente, il mio è un settore specifico e minore. Quei pochi delle altre riviste che incontro occasionalmente ai raduni o alle fiere internazionali, posso dire che non sono troppo più interessanti né più nobili della categoria degli Insegnanti che ho conosciuto. A parte qualche eccezione, tirare a campare è la loro logica predominante, e di squali che giocano a rubarsi il lavoro ce n'è quanti se ne vuole. Chiaro: qui in Italia ci pagano una miseria.
L’Indignazione verso il mondo della scuola però,  aveva trovato intanto un suo modo di esprimersi: le avevo dato  le spalle;  l’Incomprensione verso colleghi e genitori che accettavano quelle regole, quei programmi di studio assurdi, quell’Ignoranza che dilagava proprio nel posto dove meno avrebbe dovuto incontrarsi, finalmente potevo osservarla a una distanza che non mi faceva più così male.
L’Impazienza caratteriale, infine, mi portava a varcare altre porte. Verso altri orizzonti, e  nuove mete.

15 agosto 2011

Personnages: la montaigne, la moto, la femme, blocs abstraits

...Siamo d'accordo che anche la propria vita, vista da fuori, somiglia, come le vite degli altri, a una colossale messa in scena disseminata di qualche verità, di fatti veri: la nascita di un figlio o la morte di qualcuno cui vogliamo bene, le relazioni importanti al loro culmine, prima che subentri la quotidianità, o la scelta del proprio futuro professionale (veramente no, anche questo può far parte dello spettacolo o almeno, si può "leggerlo" come tale..). Nel mio caso comunque, è stato solo anni dopo essere entrata in quel cinemino d'essai davanti a Piazza Santa Maria Novella - lo Spazio 1, e allora era veramente un universo esterno alla Terra, dove si proiettavano i miracoli della settima arte - che ho potuto vedere la mia vita da fuori e in un certo senso paragonarla a quel film, ad Impatience, traendone alcune conclusioni. Essere motociclista da appena un anno mi convertiva senza alcun dubbio in un "personaggio", vista da fuori: andando, mi specchiavo nella mia propria ombra, stirata sull'asfalto quando il sole volava basso al mio fianco. Mi sentivo protagonista, autrice del mio presente e del mio immediato futuro; ma anche la mia piccola e amica Yamaha SR250 era viva, come me; era il personaggio vibrante e sonoro che mi faceva "essere" in quell'istante, un individuo differente dagli inscatolati nelle automobili, dai pedoni, dai ciclisti o dagli scooteristi che sfioravo uscendo dalla città. Verso la montagna. Perché era là che andavo quasi ogni sera, a casa dei miei ai piedi dell'Appennino; ci andavo con un certo spirito di rivolta, è vero, perché gli altri giorni restavo col mio fidanzato in città...ed era strano, lo penso ora, vivere in quella prigione d'asfalto e cemento con chi volevo vivere, e poi volare come un uccello, godendo dell'aria, del viaggio, verso il nido originario da cui allora volevo staccarmi a tutti i costi - a costo di sbagliare - per poter comprendere il resto.
E poi "i blocchi astratti", come il film recitava all'inizio, al posto dei titoli di testa: Personnages: la montaigne, la moto, la femme, blocs abstraits. Cosa rappresenteranno? mi chiesi la prima volta che vidi il film. Una rappresentazione grafica del motore della moto? Della sua carrozzeria? Una specie di quadro cubista dell'ambiente naturale che Yvonnie attraversa  sulla sua moto? O una rappresentazione di lei, dei suoi pensieri mentre "vola" frenetica attraverso il paesaggio, spogliandosi mentalmente della tuta di pelle, del casco, restando nuda e sognando forse la meta, l'uomo o la donna che l'aspettava al traguardo per amarla?
Ero impaziente di ragionarci su...sì, impaziente...Così me ne andai dal mio allora docente di Storia del Cinema, decisa a fare di Impatience l'argomento della mia tesi di laurea insieme ad altri due cortometraggi girati da Dekekeukeleire l'anno prima e il successivo ad Impatience, Combat de boxe e Histoire de detective. Lui era un individuo annoiato, abbastanza mediocre, insomma lo stereotipo del professore universitario che sa provocare l'entusiasmo nei suoi studenti. Credo gli fosse andata male a Cinecittà, anni prima, quando aveva anche fatto da aiuto-regista a Fellini. Comunque, quando gli dissi il nome del regista mi disse "E chi sarebbe?" prima di darmi un benestare poco entusiasta ma che in un certo senso doveva fargli comodo: il lavoro sarebbe stato tutto a carico mio, mia la responsabilità di non scrivere stronzate. Almeno non avrei offeso nessun critico, visto che avrei parlato degli esordi del cinema d'avanguardia di un "provinciale", rispetto alla Francia, di un quasi sconosciuto che avevo beccato nel mezzo di una rassegna sul cinema belga e a cui io sola, in Italia almeno, attribuivo un talento uguale e forse anche superiore a quello di certi suoi contemporanei.
Per me era perfetto: andavo in moto e mi sentivo diversa, no? La donna, Yvonnie, faceva l'amore con la sua moto perché non aveva la pazienza di aspettare la fine del viaggio, giusto? Anche quello mi rappresentava: l'impazienza. Di fare. Di dire. Di arrivare (ancora oggi è la mia rovina..). Il regista era uno che aveva lavorato ai margini dell'ambiente intellettuale francese, forse per destino, ma forse anche (come scoprii) per scelta?  Ottimo: non mescolarsi, soprattutto allora, era la mia regola: dirigere la nave verso la montagna anziché verso i fumi della città.
Dunque, quello era il mio film; la storia era la mia storia.