STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


21 febbraio 2012

La dannazione dell'Impatience...

Foto: Nathalie Krag
Ho pensato: oggi la maggior parte delle donne hanno figli passati i trent'anni e a volte passati i quaranta (il mio caso). Tutto in ritardo, chiaro: la realizzazione professionale, il trovar lavoro, il trovar casa, il trovare la persona giusta (caso più unico che raro, quest'ultimo: è molto più difficile che trovare un lavoro decente, trovare la persona più compatibile. Non amo né mi ritrovo nel femminismo vecchia maniera, ma è una realtà che di uomini che valgano la pena ce ne sono rimasti davvero pochi, pochissimi per una donna che si ritenga anche solo un po' intelligente.
Ma tornando alle realizzazioni tardive, ripeto, ho pensato: se è vero che i figli ormai quasi tutte li hanno tardi, si può sperare in una realizzazione tardiva anche professionale.
Sono scrittrice, ma solo perché mi ritengo tale. E mi chiedo se i casi della vita possono portare a trovare un editore quando ormai non ci si spera più. Forse la maturità letteraria si è fatta tardiva come la maternità, a causa del mondo stesso, che si è complicato. Continuo a dire "forse", e non alludo ai talenti letterari, quelli sono un caso a parte.
Io, come tanti altri, dobbiamo lavorare sodo anche solo per "sentirci" scrittori. Ma non basta: uno scrittore, anche il più surreale, il più fantasioso, attinge dal suo mondo le idee e i contenuti, a volte dal proprio vissuto e a volte da quello degli altri che ha sott'occhio o su cui legge nei giornali. Le informazioni sono tante, troppe, oggi. Gli pseudo-valori si sono affiancati a quelli veri, e i significati fondamentali hanno assunto sfumature e sfaccettature tante quante sono le umanità che si trovano a viverle. Difficile scriverne, o meglio, difficile estrapolare dal marasma una narrazione lineare, limpida. Ci si arriva con la maturità, credo, dopo i quaranta.
Per la prima volta una sofferenza familiare inaspettata e che si sta ingiustamente prolungando ben oltre il dovuto si è convertita, durante una delle mie notti bianche, in un titolo e in una struttura narrativa per la prima volta sorprendentemente chiara a me stessa: per la prima volta so che cosa voglio dire e dove voglio arrivare. Non che questo mi garantisca di lavorare in scioltezza, ma finalmente sento di avere la storia in mano, posso manipolarla, e a momenti mi si va facendo in mano, mentre scrivo, o mentre lavo i piatti o gioco con la mia bambina.
No, l'impaziernza di pubblicare era una pretesa sbagliata, e mi ha fatto soffrire il non riconoscimento, il rifiuto gentile, l'illusione di farcela "stavolta".
L'impazienza di vivere, forse, è sbagliata. La vita viene da sé, si arriva a un punto in cui i nodi si sciolgono e le cose diventano comprensibili, anche se di poco. Ma almeno se ne può scrivere.