STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


06 settembre 2012

ONE WEEK


Altro film indipendente, mai arrivato in Italia, per quel che ne so, con cui l’America, a modo suo, “si riprende” da quella serie di film di serie b degli anni ’60 (dal ‘54, dovremmo dire, cioè da Il Selvaggio in su) che vedevano il motociclista esclusivamente in veste di ribelle, figlio di puttana, scapestrato, senza punti di riferimento nella vita a parte la propria banda su due ruote, con cui spaventare quei borghesi conservatori che andavano solo in macchina e che, in apparenza soltanto, erano un modello di perfezione. Ma dovremmo dire "il Canada", visto che il film è canadese, di un regista che si chiama Michael McGowan, che nel 2008 lo ha presentato al Festival di Toronto.
Lungi dall’essere un capolavoro, si tratta di un film comunque interessante, “diverso”, e che si svolge sul filo di una malinconia sottile, un po’ per il tema e la voce narrante, un po’ per la complicità degli spazi in cui si svolge e della luce che vi imperversa: immense distese pianeggianti e strade a perdita d’occhio su cui domina un cielo bianco e che ti fanno sentire minuscolo, o una natura potente e antica, selvaggia e immutabile, al contrario delle nostre vite mortali, irrisorie, limitate e costrette da un’infinità di regole imposte e auto-imposte.

“Una settimana” è quel che il protagonista, Ben, si concede dopo aver saputo di avere un cancro a uno stadio avanzato, e lui è quasi un ragazzo. Di fronte ai duri trattamenti che lo aspettano, e che comunque non gli garantiranno di uscirne vivo, sceglie una terapia alternativa, che gli si offre per caso mentre, sulla via del ritorno a casa dall’ospedale, è ancora confuso da quella che gli è suonata come una sentenza di morte altamente probabile, e in capo a poco tempo.
Un uomo anziano – chiaramente un ex-biker dell’età gloriosa, all’aspetto –ha tirato fuori dal suo garage un pezzo d’epoca: una Norton Commando nel ’73 (bellina...). Ben si ferma a guardarla, e l’uomo gli dice di farci un giro: lui la vende perché ormai non ci va più. La decisione avviene in un attimo, provocata ulteriormente da una scritta sul bordo srotolabile di uno di quei grossi bicchieroni di cartone in cui là, si prende da bere: “Go West Young Man”, è la spinta definitiva.
Durante il pranzo di compleanno di suo padre, Ben rende nota la sua situazione alla fidanzata Samantha, e deve difendersi per un po', contro l’ insistenza di lei perché non parta come un folle, e “si consegni” prima possibile alla medicina, come un condannato...

Il viaggio, come ogni viaggio in sella a una moto, è l’occasione per fare il punto sulla propria vita. Ben ha diversi dubbi da chiarire a se stesso, primo tra tutti, l’amore per Samantha, che tra le altre cose, odia le moto...Poi ripensa al proprio lavoro di insegnante e al proprio sogno di diventare uno scrittore, ora minato, come il resto, da un imprevisto che sembra insuperabile. Capisce che quel che lo sta uccidendo più del cancro (o forse ciò che lo ha causato) è una vita normale, senza aspettative particolari, povera di emozioni. Decide di recuperare all'istante. E si concentra a vivere la sua avventura come se fosse l’ultima ma anche la prima di una lunga serie, perché non si sa mai.

La Norton-terapia dà i suoi frutti. Non solo il confronto con la natura risulta stimolante, ma soprattutto il  miracolo degli incontri casuali con uomini e donne, con le loro piccole storie, testimonanze importanti, o solo differenti modi di pensare che via via lo scuotono, gli aprono strade.
C’è qualche momento di crisi: quando la moto lo abbandona..ma gliela ripara una donna (!) per una di quelle casualità eccezionali che non si ripetono più di una volta nella vita; o quando ha un banale incidente, una scivolata che potrebbe vederlo morto e che invece gli fa apprezzare più che mai il fatto d’esser vivo. E dopo aver maturato la decisione di separarsi dalla fidanzata, quando si perde in un bosco e ha un mancamento che forse prelude  alla fase di debolezza e malessere che lo porterà sulla via del ritorno..ma lo soccorre una ragazza che sembra uscita da una fiaba, e con cui passa una delle notti più belle della sua vita.

A Toronto, Ben ci torna senza Norton purtroppo, dopo che un autista distratto gliel’ha fatta a pezzi con una manovra maldestra per uscire da un parcheggio.
Ben assimila ogni momento, e apprende, matura, non si ferma davanti a niente, finché può. Il viaggio è un’evoluzione che lo lascia tanto “nuovo” quanto esausto, disposto a tornare dalla famiglia che lo aspetta per combattere insieme.

La fine ci lascia in sospeso. Ad andare avanti è il sogno, il che lascia sperare bene, forse, anche sulla vita reale di Ben: il suo libro è appena uscito, si chiama “One week”. In copertina c’è una foto sua con l’amica Norton.

Unico difetto evidente del film, a mio parere, anche se forse calcolato, è che l’attore ha inequivocabilmente un viso “da insegnante”, un po’ deluso dalla vita, e con gli occhialini da guida che si è procurato per il casco aperto, e una certa rigidità della posizione con cui guida, non fa un grande effetto. Del resto, forse, l’intenzione della regia era proprio quella: di mettere in sella uno che non c’era mai stato prima, e di farlo scendere cambiato in un’altra persona, dentro. Le moto, si sa, – soprattutto le classiche che hanno più carattere - fanno di questi miracoli.