STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


10 ottobre 2011

La moto - seconda parte

Ognuno si sceglie la vita che vuole, se vuole, o si ritrova la vita che merita, conseguenza di scelte fatte o mancate, di salti nel buio o ad occhi aperti, e del proprio carattere, non ultima condizione. Io, per me, credo di aver scelto di vivere fuori città, a un certo punto, sebbene in fondo la mia decisione sia stata anche una conseguenza di quanto vissuto prima, della casa di campagna dove ho passato quasi tutte le mie estati da bambina, di certi bei personaggi che ho conosciuto e che vivevano lì, lontani dal chiasso cittadino. Piano piano sono scivolata in questa dimensione e l'ho fatta mia, scegliendo le mie motivazioni. Merito anche della moto, da quando l'ho avuta: della spinta che m'ha dato a uscire verso i passi dell'Appennino, verso le curve.
Per carattere, ho sempre affiancato a un'immaginazione inarrestabile e a una tendenza all'irrazionale romantico, una parte di me saldamente ancorata a terra. Non tanto razionale quanto terrena, radicata al suolo e tutt'altro che aerea come il resto di me. Non ho mai saputo ballare  proprio per questo motivo: mancanza di leggerezza, dell'arte di saper staccare i piedi da terra e di lanciare il corpo all'aria. Una mancanza terribile, acuita dalla timidezza che mi ha anche sempre impedito di prendere l'iniziativa e buttarmi, di ballare comunque, a modo mio (a parte quando sono sola, ma questo lo fanno tutti, credo). Quando ho avuto la moto per la prima volta, e ho imparato a guidarla, a conoscerla, molto lentamente ho cominciato a capire che potevo ovviare alla mia mancanza, potevo staccarmi da terra e ballare la mia danza, al mio ritmo, per sentirmi finalmente senza peso, aerea e armonica. Il ballo è diventato possibile; solo che il mio corpo non era solo il mio corpo, era "anche" il mio corpo, saldato a quello d'acciaio e gomma della "cosa" che mi faceva ballare.
La mia pista da ballo è da sempre peculiare, molto specifica: le migliori curve di un passo di montagna, meglio se lo conosco bene; il Muraglione per esempio, ai cui piedi ho la fortuna di vivere da sei anni ormai, è la mia preferita. Ma ho imparato  altrove, lungo pochi chilometri fuori da un paese vicino: non è neanche un passo, è piuttosto una strada piena di curve che riconduce a un'altra strada piena di curve, che portava su altri due passi storici, la Futa e la Raticosa. Come in una palestra dove uno si reca per allenarsi, io facevo su e giù per quella strada e imparavo a ballare ancora senza saperlo. Allora mi dicevo che stavo "imparando a guidare". Gente che ne sapeva più di me mi aveva dato qualche dritta teorica: inclinare il corpo insieme alla moto verso l'interno di ogni curva, sporgere dalla sagoma con la spalla e il fianco, e giocare di gas, rallentare prima di imboccarne una, accelerare dolcemente durante e un po' più in uscita; usare le gambe coi piedi sulle pedane come il timone della nave: una leggera pressione sulla gamba interna per mantenere la forza centrifuga e un colpetto su quella esterna per risalire, rimettersi dritti e ondeggiare verso la successiva. Era una sfida affrontare la strada, seppure alla mia velocità moderata - soprattutto allora, avevo una moto piccola e facile, la mia SR - e mi piaceva soprattutto sentirmi respirare, aggiustare la respirazione al ritmo delle curve, sentir scivolare il fianco, morbido sulla traiettoria portata dal mio stesso fiato, esalato in continuità, gradualmente.
Non dimenticherò mai quella scuola solitaria, sensuale, ostinata, messa in pratica tutte le volte che potevo, e il sollievo di uscirne viva se avevo guidato bene, e non solo viva: più donna, curiosamente, come se avessi appena fatto l'amore con qualcuno capace di farmi sentire così. Una strada piena di curve, in fondo, è di per sé qualcosa di molto femminile: sinuosa, a volte contorta, infida e ammiccante allo stesso tempo, ruvida e liscia. La moto è lo strumento ideale per sentire una bella strada così - ovviamente la moto adatta; anche se è la nostra guida ad adattarla al percorso, è chiaro che il modello fa sì che ci si possa divertire di più o di meno. Indubbiamente "lo strumento", in sé, è maschile.
Una contraddizione quindi, sentire solitamente "la" moto come una femmina tra le nostre gambe, quando poi la percezione più forte, almeno personalmente, è quella di penetrare la strada grazie a lei, mentre lentamente si comprende la prima, si impara a conoscerne i punti deboli, le ombre, e i suoi lati migliori.
È evidente che sto parlando di una dimensione ideale del sesso, e dell'amore, la dimensione perfetta, che unisce al piacere la sensazione sicura del rispetto, d'essere rispettate e di rispettare il mistero dell'altro.

Tornando al Muraglione poi, nel mio caso l'uscire in moto equivale da tempo a una riprova di una certa qualità della vita che per fortuna posso permettermi: posso permettermi il lusso di non andare a ballare il sabato sera, come fanno tutti. Lavoro a casa, il tempo me lo gestisco da me. Quindi, io vado a ballare durante la settimana, di mattina preferibilmente, che è quando la luce mi piace di più e il corpo risponde meglio alle sollecitazioni della strada. Quando sono più fortunata l'otto volante del passo è come una mia strada privata, un amante prediletto non condivisibile con nessuno: non incontro anima viva che sale o che scende, sono sola - siamo sole - io e la moto e la strada; i nostri unici testimoni sono gli alberi e la montagna, il vento, l'asfalto. Il silenzio soprattutto, è una scoperta, quando arrivata in cima spengo il motore, e restando in sella chiudo gli occhi e respiro, assaporando l'aria e ogni cosa, il momento, uno di quelli in cui si può affermare d'essere vivi, e che rimpiangeremo il non poterlo essere più, un giorno.
Foto: Nathalie Krag
I tratti che preferisco (quelle piccole "S" aperte, una curva a destra più una a sinistra o viceversa, entrambe visibili quando imbocco la prima),  mi fanno spuntare un sorriso sulle labbra, che mi rimane fin su, al passo. "Io ballo in moto" mi ripeto, la mia moto è il partner ideale di queste scappate di un'ora, quel che mi consente il lavoro o la vita domestica, la figlia piccola, gli impegni quotidiani.
Preferisco non chiamarla solo uno strumento di fuga; non ho ragione di fuggire da niente di brutto o di noioso, a parte forse la ripetizione stessa, il veleno che assilla il quotidiano di tutti, più probabile quando si ha una famiglia. No, la motocicletta è strettamente connessa all'amore, quel che si fa con "lei" è piuttosto un tradimento virtuale, autorizzato, e profondamente intimo.
E mi ripeto che la intuizione di Dekeukeleire era giusta: che Yvonnie con la sua moto non poteva che perdersi in un sogno erotico lungo quanto la strada che percorre, irrazionale come le montagne. Impaziente di arrivare, o forse, solo di tornare da chi aveva lasciato a letto, la mattina presto.