STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


15 agosto 2011

Personnages: la montaigne, la moto, la femme, blocs abstraits

...Siamo d'accordo che anche la propria vita, vista da fuori, somiglia, come le vite degli altri, a una colossale messa in scena disseminata di qualche verità, di fatti veri: la nascita di un figlio o la morte di qualcuno cui vogliamo bene, le relazioni importanti al loro culmine, prima che subentri la quotidianità, o la scelta del proprio futuro professionale (veramente no, anche questo può far parte dello spettacolo o almeno, si può "leggerlo" come tale..). Nel mio caso comunque, è stato solo anni dopo essere entrata in quel cinemino d'essai davanti a Piazza Santa Maria Novella - lo Spazio 1, e allora era veramente un universo esterno alla Terra, dove si proiettavano i miracoli della settima arte - che ho potuto vedere la mia vita da fuori e in un certo senso paragonarla a quel film, ad Impatience, traendone alcune conclusioni. Essere motociclista da appena un anno mi convertiva senza alcun dubbio in un "personaggio", vista da fuori: andando, mi specchiavo nella mia propria ombra, stirata sull'asfalto quando il sole volava basso al mio fianco. Mi sentivo protagonista, autrice del mio presente e del mio immediato futuro; ma anche la mia piccola e amica Yamaha SR250 era viva, come me; era il personaggio vibrante e sonoro che mi faceva "essere" in quell'istante, un individuo differente dagli inscatolati nelle automobili, dai pedoni, dai ciclisti o dagli scooteristi che sfioravo uscendo dalla città. Verso la montagna. Perché era là che andavo quasi ogni sera, a casa dei miei ai piedi dell'Appennino; ci andavo con un certo spirito di rivolta, è vero, perché gli altri giorni restavo col mio fidanzato in città...ed era strano, lo penso ora, vivere in quella prigione d'asfalto e cemento con chi volevo vivere, e poi volare come un uccello, godendo dell'aria, del viaggio, verso il nido originario da cui allora volevo staccarmi a tutti i costi - a costo di sbagliare - per poter comprendere il resto.
E poi "i blocchi astratti", come il film recitava all'inizio, al posto dei titoli di testa: Personnages: la montaigne, la moto, la femme, blocs abstraits. Cosa rappresenteranno? mi chiesi la prima volta che vidi il film. Una rappresentazione grafica del motore della moto? Della sua carrozzeria? Una specie di quadro cubista dell'ambiente naturale che Yvonnie attraversa  sulla sua moto? O una rappresentazione di lei, dei suoi pensieri mentre "vola" frenetica attraverso il paesaggio, spogliandosi mentalmente della tuta di pelle, del casco, restando nuda e sognando forse la meta, l'uomo o la donna che l'aspettava al traguardo per amarla?
Ero impaziente di ragionarci su...sì, impaziente...Così me ne andai dal mio allora docente di Storia del Cinema, decisa a fare di Impatience l'argomento della mia tesi di laurea insieme ad altri due cortometraggi girati da Dekekeukeleire l'anno prima e il successivo ad Impatience, Combat de boxe e Histoire de detective. Lui era un individuo annoiato, abbastanza mediocre, insomma lo stereotipo del professore universitario che sa provocare l'entusiasmo nei suoi studenti. Credo gli fosse andata male a Cinecittà, anni prima, quando aveva anche fatto da aiuto-regista a Fellini. Comunque, quando gli dissi il nome del regista mi disse "E chi sarebbe?" prima di darmi un benestare poco entusiasta ma che in un certo senso doveva fargli comodo: il lavoro sarebbe stato tutto a carico mio, mia la responsabilità di non scrivere stronzate. Almeno non avrei offeso nessun critico, visto che avrei parlato degli esordi del cinema d'avanguardia di un "provinciale", rispetto alla Francia, di un quasi sconosciuto che avevo beccato nel mezzo di una rassegna sul cinema belga e a cui io sola, in Italia almeno, attribuivo un talento uguale e forse anche superiore a quello di certi suoi contemporanei.
Per me era perfetto: andavo in moto e mi sentivo diversa, no? La donna, Yvonnie, faceva l'amore con la sua moto perché non aveva la pazienza di aspettare la fine del viaggio, giusto? Anche quello mi rappresentava: l'impazienza. Di fare. Di dire. Di arrivare (ancora oggi è la mia rovina..). Il regista era uno che aveva lavorato ai margini dell'ambiente intellettuale francese, forse per destino, ma forse anche (come scoprii) per scelta?  Ottimo: non mescolarsi, soprattutto allora, era la mia regola: dirigere la nave verso la montagna anziché verso i fumi della città.
Dunque, quello era il mio film; la storia era la mia storia.





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