STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


03 marzo 2013

E poi c'è quella cattiva...



Non sono solo io quella impaziente per natura.
La fiamma del peccato
Lo sono anche da sempre i mezzi di comunicazione, come la stampa. Non parlo degli epitaffi che si preparano già quando il regista, il letterato o lo scienziato di  fama è in età avanzata, o in fin di vita. Perfino l’8 di marzo, come festa della donna, viene anticipato, nei programmi radiofonici per esempio, già una settimana prima. Ed è occasione, come al solito, di interessanti dibattiti, di esposizioni fotografiche, interviste illuminanti e retrospettive a tema. C’è anche tanta retorica. Di quella, tanto, non riesce a liberarsi nessuno, essendo ancora in vigore una forma di censura tacita: è opportuno parlare, infatti, restando sui binari della ragionevolezza e, in generale, del già detto. Guai a sbilanciarsi troppo o a provocare apertamente, scoperchiando le pentole da cui emanano i vapori delle minoranze, o dei casi scomodi.
Posso dire di essere una di quelle che sta dalla parte delle donne. Soprattutto negli ultimi anni mi trovo a nutrire simpatia perfino per le nostre debolezze o i nostri difetti più triti. La maternità, probabilmente mi ha avvicinata di più, e d’un botto, a certi lati femminili che un tempo consideravo noiosi, ripetitivi o molto convenzionali, e che oggi credo siano semplicemente...umani.
Comunque, l’esperienza di osservatrice che ho accumulato finora, a questo punto mi fa sentire anche certe vibrazioni minime quando avvicino una donna: se è provinciale, invidiosa, meschina o, al contrario, intrinsecamente coraggiosa, generosa, dignitosa nella sua semplicità (o insopportabile, in certa sua complessità inutile). E anche se non mi entusiasma - come la maggior parte delle volte - cerco di adattarmi ai suoi limiti, al suo linguaggio, perché voglio che mi senta amica, e si lasci scoprire come essere umano.
I fatti della vita, ultimamente, mi hanno portato ad individuare una sottospecie che raramente viene menzionata durante questi periodi celebrativi dell’8 di marzo, e che anziché indurmi comunque alla curiosità, mi irrita o mi fa scappare a gambe levate.
Gene Tierney in Femmina folle
La donna vessata, violentata, picchiata, offesa in ogni modo, è l’eroina costante messa in luce dal mondo della stampa e della cultura. E non ho niente da dire: perché si tratta di tantissime in tutto il mondo, vittime di atti ripetuti e sempre ingiustificati.  Eppure, c’è un esemplare, il cui difetto generico è generalmente l’insicurezza, una forma di immaturità nascosta che trova la causa in un’infanzia generalmente poco felice (spesso perché lei, la donna, non ha saputo esserlo) che da sempre è stata una piaga per il mondo maschile che ne ha sofferto e ne soffre l’influenza.
Questa fragilità interiore, occultata da un aspetto che magari le fa sembrare degli esempi infallibili di forza, di volontà, efficenza domestica e professionale, a un certo punto diventa la causa di disastri familiari, specie quando l’uomo di turno è un debole. Ossessione, iper-gelosia e stra-potere, si rivelano armi sotterranee e infallibili (ah! e le lacrime: piangono molto, queste donne), che finiscono per strozzare il consorte, e per portarlo spesso ad atti inconsulti.
Naturalmente non giustifico gli atti (la violenza, anche verbale, non è mai giustificabile!), ma in qualche modo arrivo a comprendere questi uomini, annichiliti da virago che spesso hanno l’aria e l’aspetto di angeli del focolare.
Rimando, come esempio, a tutte le cattive cinematografiche, assai reali, degli anni Quaranta e Cinquanta: la Barbara Stanwick di La fiamma del peccato, la Anne Baxter di Eva contro Eva, o la mitica secondaria Mercedes McCambridge (cattiva in tutti i film, ed evidentemente complessata anche nella vita, probabilmente una lesbica repressa)...O un titolo per tutti: Femmina folle, con Gene Tierney, che sembra la capostipite di questo genere femminile tanto complessato.
E in letteratura, finalmente posso segnalare uno dei miei libri preferiti, che quasi nessuno conosce: un capolavoro ingiustamente rimasto nell’ombra proprio come il “mio film”, Impatience, che è "Il caso Crump", dello scrittore di origine austriaca Ludwig Lewisohn. La sua protagonista femminile è il ritratto più umano che si possa immaginare di una donna vittima di se stessa, che arriva ad imprigionare un uomo innocente, musicista, nella rete del suo carattere impossibile, vittimista e violento, fino a far diventare lui il solo capace di ucciderla.
Non sarebbe esatto dire che ci si senta felici quando le spacca il cranio con un ferro da camino: in fondo, era solo una povera donna ignorante e ossessiva. Ma non si può negare di sentirsi risalire dallo stomaco un respiro di sollievo. Perché ci sono anche queste: le donne che non meritano d'essere festeggiate, né difese, né comprese; né l'8 di marzo né mai.

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