STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


06 maggio 2012

Lottando contro i mulini a vento...

Può essere che la mia soddisfazione di offrire sul web un profilo finalmente onesto e realista del motociclista VERO sia strettamente personale, di chi scrive e di quei pochi altri che forse vi si ritroveranno.

Realisticamente, è uno sforzo inutile. Quando si sente parlare di motociclismo al di fuori del mondo delle corse, viene di solito bistrattato o da un'opinione pubblica prevenuta (che - orrore... - accomuna i motociclisti agli scooteristi, e mai errore fu più grossolano di questo), o da una stampa piuttosto indifferente e soprattutto ignorante.

Ora, va da sé che la prima possa genericamente sparare giudizi sbagliati perché "non sa" (si va dai moralisti ignoranti ai paurosi, ai razzisti della strada, fino ai fanatici del motomondiale che ammirano i piloti come tanti berlusconcini rilucenti di denaro e belle donne, fino agli ottusi che affollano le fiere di moto per una sorta di curiosità morbosa, attratti dalla funzione aggressiva del mezzo, o dal suo valore economico, più che dall'oggetto in sé, carico di storia).
Quando si parla però di quella categoria di persone che rappresentano la cultura, come il giornalismo stesso, fa una certa rabbia sentire, in radio o in televisione, il giudizio di qualcuno che in teoria "sa" e che contribuisce invece a mantenere statico e limitato un punto di vista che meriterebbe, come il resto, la propria evoluzione.

 Il contrasto che esiste tra il mondo generico della cultura e quello dei motociclisti è come quello tra un critico cinematografico seduto in sala, e un ipotetico motociclista che il primo sta guardando "agire" sul grande schermo.
La condizione del critico è un'immobilità impressionante, a cui si affianca semmai un movimento mentale, che però in questo caso non gli serve a comprendere, perché è solo ANDANDO IN MOTO che il cervello acquista sensibilità ed è in grado di ragionare su questo tema.
La condizione del secondo è strettamente dinamica, proiettata in avanti, alla strada se effettivamente si sta muovendo, o sulla moto stessa, mentalmente, o su altri motociclisti, o sulla gente ferma a guardarlo. Entrambi, sia il critico che il motociclista, sono potenzialmente dei contemplativi, ma il primo lo fa da una poltrona, mentre il secondo da un mezzo che domanda espressamente d'essere lanciato.
E come potrebbe l'uno "recensire" l'altro?
In effetti, il paradosso nella mia volontà di far luce sul mondo della moto, è proprio questa: che succederebbe se la gente improvvisamente cominciasse a comprenderci? Di botto, tutti amici dei motociclisti! Non la solidarietà burina riservata dalla maggioranza al mondo delle corse, ma il rispetto e la considerazione che deriva dalla conoscenza di un mondo, per esempio dei rischi che corre un motociclista comune nel traffico, o delle motivazioni che lo hanno portato a scegliere le due ruote aldilà di quelle strettamente pratiche e funzionali. Ah! Sarebbe un mondo troppo perfetto! Forse noioso, anche...
E' addirittura fondamentale, pensandoci bene, che il ciclista si ritenga più innocente e corretto del motociclista, o che l'automobilista si roda, in coda, quando un motociclista lo sorpassa. La nostra società si nutre dell'ostilità e diffidenza tra gli individui, ma questa sarebbe giustificata solo nel caso in cui uno si comporti male, mettendo a rischio la sicurezza dell'altro o dando mostra di arroganza.
Specie diverse e inconciliabili, dunque, che si riservano al massimo un rispetto superficiale, una "tolleranza", simile a quella riservata ancora da molti italiani agli extra-comunitari, come se fossero ospiti temporanei anziché il ricambio generazionale ad una manodopera europea infiacchita dai vizi del consumismo e prossima a morire circondata da oggetti di lusso tra cui, di recente, è stata inclusa anche la moto. E questo è un altro passo indietro nella sua comprensione.
Realizzare ciò che voglio, qui, sembra pura utopia, donchisciottesca quasi. Tuttavia, resta salda l'intenzione di provarci.
Perché? Boh...una caratteriale ansia di giustizia, forse. Il mondo è fin troppo ingiusto, e nel mio piccolo sento che fare la mia parte chiarendo la natura positiva di un fenomeno, serva ad arricchire le coscienze, almeno di quei pochi che vorranno ascoltare. O forse solo a consolare la mia.

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