Non sono solo io
quella impaziente per natura.
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La fiamma del peccato |
Lo sono anche da sempre i mezzi di comunicazione, come
la stampa. Non parlo degli epitaffi che si preparano già quando il regista, il
letterato o lo scienziato di fama è in età avanzata, o in fin
di vita. Perfino l’8 di marzo, come festa della donna, viene anticipato, nei programmi radiofonici per esempio, già una settimana
prima. Ed è occasione, come al solito, di interessanti dibattiti, di esposizioni
fotografiche, interviste illuminanti e retrospettive a tema. C’è anche tanta retorica.
Di quella, tanto, non riesce a liberarsi nessuno, essendo ancora in vigore una forma di censura tacita: è opportuno parlare, infatti, restando sui binari
della ragionevolezza e, in generale, del già detto. Guai a sbilanciarsi troppo
o a provocare apertamente, scoperchiando le pentole da cui emanano i vapori
delle minoranze, o dei casi scomodi.
Posso dire di
essere una di quelle che sta dalla parte delle donne. Soprattutto negli ultimi
anni mi trovo a nutrire simpatia perfino per le nostre
debolezze o i nostri difetti più triti. La maternità, probabilmente mi
ha avvicinata di più, e d’un botto, a certi lati femminili che un tempo
consideravo noiosi, ripetitivi o molto convenzionali, e che oggi credo siano semplicemente...umani.
Comunque,
l’esperienza di osservatrice che ho accumulato finora, a questo punto mi fa sentire anche certe vibrazioni minime quando avvicino una donna: se è provinciale, invidiosa,
meschina o, al contrario, intrinsecamente coraggiosa, generosa, dignitosa nella
sua semplicità (o insopportabile, in certa sua complessità inutile). E anche se non mi entusiasma - come la maggior parte delle volte - cerco di adattarmi ai suoi limiti, al suo linguaggio, perché voglio che mi senta amica, e si lasci scoprire come essere umano.
I fatti
della vita, ultimamente, mi hanno portato ad individuare una sottospecie che
raramente viene menzionata durante questi periodi celebrativi dell’8 di marzo, e che anziché indurmi comunque alla curiosità, mi irrita o mi fa scappare a gambe levate.
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Gene Tierney in Femmina folle |
La donna vessata,
violentata, picchiata, offesa in ogni modo, è l’eroina costante messa in luce
dal mondo della stampa e della cultura. E non ho niente da dire: perché si
tratta di tantissime in tutto il mondo, vittime di atti ripetuti e sempre ingiustificati. Eppure, c’è
un esemplare, il cui difetto generico è generalmente
l’insicurezza, una forma di immaturità
nascosta che trova la causa in un’infanzia generalmente poco felice (spesso perché lei, la donna, non ha saputo
esserlo) che da sempre è stata una piaga per il mondo maschile che ne ha sofferto e ne soffre l’influenza.
Questa fragilità
interiore, occultata da un aspetto che magari le fa sembrare degli esempi
infallibili di forza, di volontà, efficenza domestica e professionale, a un certo
punto diventa la causa di disastri familiari, specie quando l’uomo di turno è
un debole. Ossessione, iper-gelosia e stra-potere, si rivelano armi sotterranee e infallibili (ah! e le lacrime: piangono molto, queste donne),
che finiscono per strozzare il consorte, e per portarlo spesso ad atti inconsulti.
Naturalmente non giustifico gli atti (la violenza, anche verbale, non è mai giustificabile!), ma in qualche modo arrivo a comprendere questi uomini, annichiliti da virago che spesso hanno l’aria e l’aspetto di angeli del focolare.
Naturalmente non giustifico gli atti (la violenza, anche verbale, non è mai giustificabile!), ma in qualche modo arrivo a comprendere questi uomini, annichiliti da virago che spesso hanno l’aria e l’aspetto di angeli del focolare.

E in letteratura, finalmente posso segnalare uno dei miei libri preferiti, che quasi nessuno conosce: un capolavoro ingiustamente rimasto nell’ombra proprio come il “mio film”, Impatience, che è "Il caso Crump", dello scrittore di origine austriaca Ludwig Lewisohn. La sua protagonista femminile è il ritratto più umano che si possa immaginare di una donna vittima di se stessa, che arriva ad imprigionare un uomo innocente, musicista, nella rete del suo carattere impossibile, vittimista e violento, fino a far diventare lui il solo capace di ucciderla.
Non sarebbe esatto dire che ci si senta felici quando le spacca il cranio con un ferro da camino: in fondo, era solo una povera donna ignorante e ossessiva. Ma non si può negare di sentirsi risalire dallo stomaco un respiro di sollievo. Perché ci sono anche queste: le donne che non meritano d'essere festeggiate, né difese, né comprese; né l'8 di marzo né mai.
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