In alto i nobili
ideali: il sogno, l’ambizione onesta. La tenacia, un po’ di incoscienza, e
l’impazienza di riuscire in qualcosa di forse “non previsto” nel mio curriculum
“brevis” attuale (che vede le donne di
tutto il mondo come innanzitutto madri, per destino e predisposizione naturale,
malgrado le apparenze che garantiscono un’evoluzione avvenuta), venerdì scorso
ho fatto qualcosa.
Mi sono detta:
“ma perché lasciar perdere?”. La grinta dello sguardo di Yvonnie Selma, contro
la strada, mentre “finge” di guidare la “sua” motocicletta in Impatience, continua
a forare la superficie incerta della vecchia pellicola su cui fu girato il
film, 84 anni fa. Perché resistere a mantenere occulto per altri 84 anni il suo
carattere, la sua esperienza onirica e reale allo stesso tempo, a tutti quelli
che non l’hanno conosciuta come me, per caso, sullo schermo di un cinema
d’essai, durante una retrospettiva cinematografica di second’ordine?
A quell’epoca mi
dissi: “ci scrivo la tesi, e poi la pubblico”. Facile, ah! Quando ancora uno
crede che il mondo vada per il suo corso ragionevole! In seguito, senza arretrare
di un passo, continuai a dirmi: “Ok. Se il regista non interessa (secondo
l’editoria ottusa, perché “sconosciuto in Italia”...MA COME SI FA A CONOSCERE
GLI SCONOSCIUTI SE NON FACENDOLI CONOSCERE??), lavorerò solo sul secondo film:
lo inserisco in un documentario sul valore simbolico della moto nel cinema,
dalle origini”.
All’epoca, mi
aiutò l’ex-fidanzato della fondatrice del sito delle motocicliste (WWW.MOTOCICLISTE.IT ), Paola Furlan. Dopo che un uomo gentile
di cui nemmeno ricordo il nome, mi disse, in confidenza, che anche solo l’idea
di un documentario fatto di frammenti di film sarebbe venuto a costare uno
sproposito, e che non avrei trovato nessun mecenate a sostenermi, ripiegai con
un certo orgoglio: “Vabbè. Allora scriverò un libro sullo stesso argomento”.
Come “un lavoro di ricerca”, mi spiegò l’editore, Danilo, il che giustificava
l’utilizzo di TUTTE le immagini, limitandone il formato alle dimensioni di un
francobollo ognuna, dal cinema americano a quello italiano famoso, SENZA
CHIEDERE i diritti d’autore. Una
procedura che, vista a distanza, non smette di farmi pensare che a noi italiani
piace indiscutibilmente fare un po’ i furbi.
Ed ecco qua. 9
anni d’attesa, nessuna presentazione, una distribuzione pessima, ma Due ruote e
una manovella nasce. Già defunto.
Ora, non potendo
partecipare quest’anno, al Secondo Congresso su Moto e Cultura, in Colorado
(altra storia di cui parlare..ma a parte), quest’anno “ho ripiegato” sul
Festival del Cinema Ritrovato, a Bologna. Una meta più abbordabile, vicina,
comoda..
Grazie a Linkedin
- bisogna essere giusti - ho saputo che
ci sarebbe andata un’americana, Kristin Thompson dell’Università del Winsconsin
che, anni fa, ha scritto anche lei del mio regista belga (l’unica a intuire che
il poveretto si meritava d’essere citato anche solo con poche righe in
un’eciclopedia di cinema). L’ho contattata, le ho chiesto un appuntamento, lei
ha accettato. Miracolo...o perché è solo un’americana, colta ma meno arrogante
di noi europei?
Poi, ho anche
saputo che il direttore della Cineteca di Bruxelles, Nicola Mazzanti, avrebbe
presentato un film, a Bologna. Ho provato a fare la stessa cosa con lui, ma
qui, EH! È stato più difficile. Un europeo!!
La sua segretaria (o segretario, un nome fiammingo..non ho capito bene,
e forse questa è stata la mia mancanza) dopo la prima mail si deve essere
offesa/o , e non ha voluto più rispondermi. Dall’Italia nessun aiuto, ma mi
hanno gentilmente detto di tentare un approccio, lì per lì, al Festival.
E così è andata.
Un giorno diverso. Al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna, edizione 2012: un
evento bellissimo!! Una proiezione dietro l’altra, in quattro sale diverse,
l’emozione di sentirsi spettatori del passato davanti a cortometraggi del 1912
(in omaggio al secolo trascorso) o a lungometraggi degli anni Venti con
accompagnamento al piano dal vivo: capolavori dall’aspetto fragile, restaurati
come si merita qualsiasi opera d’arte in qualsiasi campo. Perché il cinema PUÒ
dar luogo a un’opera d’arte, anche se fin dall’inizio è stato definito come il
passatempo della gente comune (già, è più facile guardare un film che leggere
un libro).
Beh, è stato proprio
come un “happy end” in una commedia: Kristin Thompson, intercettata tra un film
e l’altro con la sua Coca Cola a tracolla, ha accolto sia l’idea di collaborare
con me, nel caso il mio progetto di una prossima retrospettiva su Dekeukeleire,
al Festival, venga accettato, che la possibilità di considerare l’eventuale
pubblicazione di Due ruote e una
manovella negli Stati Uniti, tradotto e ovviamente aggiornato, dal momento che
l’individuazione di una moto in un contesto filmico interessante, non smette
d’essere un lavoro senza fine....
Altrettanto
miracoloso è stato l’incontro con Mazzanti. L’ho tallonato e rincorso dopo la
presentazione, ma quando gli ho chiesto un minuto del suo tempo m’ha detto di
sì, e questo fa sempre piacere: che il “tempo” non sia sempre lui a decidere.
Anche lui ha
accettato di leggere la versione francese del mio progetto di pubblicazione
all’estero (L’Europa, in fin dei conti, sarebbe il mercato più plausibile, se
solo trovassi qualcuno disposto a rischiare i costi). E si è detto disponibile
a fare quanto necessario se l’idea della retrospettiva, vagliata il prossimo
settembre, verrà accettata dalla commissione.
Tutto qui, tutto
bene. Ho seminato. Ora vediamo se nascono delle piantine. Non escludo,
ovviamente, che gli stessi potranno poi ritenere “superflua”, o un po’
paranoica perfino, la mia crociata sul valore simbolico della moto nel cinema,
su un presupposto valore STORICO delle due ruote, coetanee del cinematografo, e
nate con la stessa finalità, curiosamente: divertire la gente durante il tempo
libero. Se sarà così, comunque, è problema loro. La motocicletta non è di per
sé un argomento che attrae gli intellettuali, sebbene questa sia una forma
sottile di “ignoranza intellettuale”..Ma io continuerò a provarci. E ripeto: in alto i nobili ideali, di qualunque natura
siano. Basta crederci.