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Foto: Rebecca Heyl |
Oggi vorrei
parlare di un’amica. Di una donna prima di tutto, che tanti anni fa, ormai, ho
scoperto grazie all’”Impatience” che in quel momento già mi stava portando a
più profonde riflessioni intorno alla moto, e che è diventata per me una specie
di doppio potenziale, un modello da raggiungere, “accessibile” e terreno dopo
che lei si è lasciata avvicinare in maniera spontanea e generosa.
Un compleanno del
lontano 1997, o ‘98, un regalo: un libro di quelli che passano in sordina qui
in Italia, pubblicato per chissà quale strano caso visto che oggi nessuno gli
darebbe credito: “Il veicolo perfetto” è finora (a parte il mio saggio, che non
fa testo, essendo una pubblicazione passata praticamente inosservata, in
Italia) l’unico libro sulla motocicletta scritto da una donna, Melissa Holbrook
Pierson.
Attraverso la
propria sensibilità, che non occorrerebbe nemmeno sottolineare “diversa” da
quella maschile, e una mano indubbia da scrittrice, Melissa ripercorre la
storia della moto come invenzione folle dell’uomo, da un punto di vista
finalmente storico e culturale, alleggerendo il tono della narrazione con la
sua propria storia da quando, come accade per molte di noi, incontra la moto
del cuore e impara a guidarla e a conoscerla e ad amarla grazie al/ai propri
fidanzati.
Il libro mi
piacque moltissimo, e notai soprattutto i numerosi riferimenti cinematografici
che Melissa citava. Mi immedesimai nell’opera che aveva scritto per come
l’aveva scritta, al punto da volerla conoscere. Ed ebbi l’ardire (e la fortuna)
di ottenere il suo indirizzo dall’editore, di scriverle, negli Stati Uniti...e
di ricevere a breve una grande busta pluri-affrancata (che conservo), e che conteveva
una sua lettera e un catalogo della Wildhorse Press, dove Melissa mi indicava
un altro libro che avrebbe potuto interessarmi. Era, quella prima lettera,
cortese e curiosa nei miei confronti: entrambe avevamo studiato cinema
all’università, entrambe eravamo donne, dotate di un’indubbia femminilità – non
lesbiche, per intendersi, visto che l’approccio cambia – e motocicliste.
In un certo senso ci sentimmo – io almeno - l'una il corrispettivo dell'altra, nonostante i dieci
anni di differenza che ci dividevano. Fu un avvicinamento emotivo, pieno di
rispetto, e che sottintendeva la nascita di un legame
imperituro, seppur senza pretese di assiduità o di rispecchiamento eccessivo.
Nella prima
versione del mio saggio utilizzo diverse citazioni dal libro di Melissa: le sue
ricerche puntuali e dettagliate mi facilitarono il lavoro, e il suo supporto a
distanza mi rassicurava. Stavo facendo la cosa giusta....anche se nel paese
sbagliato.
“The perfect vehicle” infatti è diventato un cult negli Stati Uniti, ma là, l’atteggiamento
della gente (più “indifesa” alle novità, meno cinica e prevenuta per una sorta di
candore naturale, e disposta a stupirsi anche degli aspetti della vita
apparentemente marginali) e soprattutto la quantità e varietà, disseminata su
uno spazio sterminato rispetto al nostro, sembra garantire una nicchia di
pubblico a ciascun settore. Cosa che qui non è. Dall’Italia - lo so per certo perché mi chiese
gentilmente di informarmene – non le arrivarono mai neanche i diritti d’autore
per il libro tradotto....
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Foto: Rebecca Heyl |
Nel 2000,
un’altra amica che andò a New York mi fece il favore di incontrarla, e di scattarle
una foto. Mi piacque, mi sembrò simpatica e alla mano, esattamente come quando
ci scrivevamo via mail. E aspettava un bambino, cosa che all’epoca ci
allontanava parecchio! In effetti per più di un aspetto: la nascita di Raphael
coincise per Melissa con l’abbandono della moto per circa undici anni: un periodo "oscuro" in un certo senso, trascorso a un diverso ritmo, e di cui, in parte, parla nel suo ultimo libro, che riprende la qualità e l’argomento del primo, purtroppo finora disponibile solo in inglese: "The Man who would stop at nothing".
La causa per cui
rinunciò alla sua adorata Guzzi non fu solo quella “classica” del terrorismo
psicologico fatto dai parenti su una madre che non può più permettersi di
rischiare la propria vita, ma un’altra anche più semplice: il compagno NON era
un motociclista nella vita: non la spinse a tenersi la moto o, al limite, a
ricominciare ad andarci dopo poco tempo. Al "veicolo perfetto" seguirono altri
libri, in quegli anni, ma di diverso tema (non sui bambini!), e che neanche
lontanamente ottennero il riconoscimento del primo.
Nel 2006 ho
finalmente conosciuto Melissa, in un caffé all’aperto, dietro uno splendido
mercato nel quartiere di Brooklyn. Ci parlammo, mentre spalmava del miele su
una fetta di pane caldo per Raphael, lì con suo padre (che ricordo a malapena: un’omone
schivo, di origine belga, che se ne rimase per i fatti suoi e che non m’ispirò
particolare simpatia).
Mi stupii, allora,
di provare lo stesso senso di vicinanza emotiva verso di lei, nonostante le
nostre storie fossero, a quel punto, molto diverse. Ma era un fatto: Melissa continuava
a rappresentare per me un modello, quel che io sarei stata dopo qualche anno,
alla sua età in quel momento: scrittrice, motociclista (quell’”ex” non mi
convinceva molto, e avevo ragione), madre. Non pensavo di avere figli nel 2007,
lo giuro! ma evidentemente una parte inconscia di me sì. Quasi a ricalcare un
ideale romantico, che covavo dentro come un segreto. Quel che non sapevo, magari,
era che sarei rimasta inedita più a lungo di lei! Ma questo, purtroppo, non
c’entra con me, piuttosto con l’epoca e il luogo dove sono nata e dove, finora,
ho scelto di vivere.
Nel 2008 l’ho
rivista, e molte cose erano cambiate: divorziata, andammo a trovare lei e suo
figlio con la nostra RoadKing presa a noleggio a Boston, nella casa che aveva
affittato in mezzo a un bosco sulle Catskill Mountains, un posto bellissimo.
Ecco, un’altra cosa ancora ci accomuna: la scelta di vivere in un ambiente
selvaggio, spostandosi con i propri mezzi verso la città solo quando necessario.
Posso dire di averla vista (e fotografata) in uno dei suoi momenti peggiori: ferita
a morte, abbandonata, confusa. Le dissi, ricordo, che avrebbe solo dovuto
ricomprarsi una moto. Cosa che ha fatto, successivamente, per riprendere il
filo della propria storia: su due ruote. Ci sono cose che non potranno mai
essere cancellate dal nostro DNA, come un codice genetico secondario.
Nel 2009 ci siamo
riviste ancora,in un tardo pomeriggio gelido, in un diner a mezza strada tra
casa sua e il nostro alloggio a Manchester, CT. Era finalmente rinata, positiva
e con la maturità di una cinquantenne, il che la rendeva ancora più bella. Volle
farmi un’intervista per un giornaletto locale di BMWisti – tanto per
contribuire al mio narcisismo latente – ma la cosa migliore tra noi fu di
poter parlare per la prima volta, e di persona, la stessa lingua, seppur
zoppicando tra le proprie.
Ora l'aggiorno costantemente sulle mie novità, che sono poi i miei sforzi per pubblicare il mio libro all'estero. Come al solito, quando mi può aiutare in qualche modo, lo fa, senza riserve. Io le mando foto della mia bambina, lei me ne manda dei suoi ultimi viaggi in sella alla moto, e di suo figlio Raphael, che le somiglia.