STORIE DAL MIO GARAGE

Cronache (vere, o ispirate dal vizio di scrivere) di una motociclista italiana emigrata dove i locali, se possono, se ne vanno altrove.


13 settembre 2011

La femme (1)

Ho chiamato mia figlia Matilde in onore a un personaggio che mi è sempre rimasto nel cuore: quella Matilde interpretata da Anna Galiena nel film di Leconte del 1990, "Il marito della parrucchiera". D'altra parte anche il compagno di lei, il narratore della storia nel film, era ed è uno dei miei attori preferiti: Jean Rochefort (tanto più come marito della parrucchiera, idealista per vocazione, voyeur instancabile di un'unico soggetto, nonché appassionato di musica araba) è un uomo affascinante, senza neanche togliergli un anno, e nonostante un indubbio e inevitabile francesismo nei modi, un po' arrogante e un po' freddo, come sembra la maggior parte dei francesi.
Matilde costituisce un'eccezione nell'universo femminile dei prototipi da film: è bellissima, di una morbidezza sensuale un po' anni 50, irresistibile; non è un personaggio malvagio né idiota, secondo due dei classici canoni delle belle cinematografiche; non è stupida né esageratamente intelligente, né una donna in carriera né una femmina indifesa per qualche ragione oscura, né un'anima persa. Vive semplicemente in un mondo suo, indifferente alla propria bellezza come strumento (se non per sedurre il suo Antoine, nel quotidiano della loro convivenza tra le quattro pareti del negozietto di lei).
Non si può dire che abbia avuto grandi aspirazioni nella vita: fa la parrucchiera da uomo, in una località anonima di provincia, che si indovina noiosa e immobile; legge certe rivistucole da sala d'aspetto, appunto, ossia si presume che non abbia nemmeno un briciolo di certa cultura, seppur da autodidatta, in nulla inferiore a quella racimolata dopo anni di studi regolari.
Eppure, la coerenza con cui vive è qualcosa di straordinario: tutto quello che vuole è restare ai margini, coi propri sogni, forse con un passato da dimenticare, in una quotidianità uniforme fatta di toccate e fughe con i clienti abituali, ciò che costituisce la sua parte potremmo dire mondana, sociale. Racchiusa e protetta dai pochi metri quadri del negozio come dal guscio di una chiocciola (anche il suo appartamentino è al piano di sopra) svolge con serenità  il proprio ruolo di parrucchiera, moglie, amante, amica di Antoine. Non esce, non viaggia; non sembra curiosa di provare nulla che non abbia già provato ed evidentemente scartato come superfluo al proprio benessere. La sua indifferenza mi faceva rabbia, all'inizio, come se stesse buttando la sua vita. Eppure, la concentrazione con cui Matilde ama Antoine momento dopo momento, senza distrazioni, ne fa una donna capace di vivere il presente, senza noie, dubbi, stanchezze e frustrazioni, quelle inquietudini che rendono la maggior parte della gente insoddisfatta della propria vita. In fondo, l'universo di Matilde ci comunica che basta poco per essere felice. Lei almeno è contenta, e allo stesso tempo non s'illude, assaporando la propria relazione (nata per caso, su cui ha riflettuto un'ora prima d'imbarcarvisi), certa che ogni singolo momento non tornerà, ansiosa solo di vivere quello successivo.
Al suo suicidio finale ho reagito, negli anni, in maniera molteplice. All'inizio la sua rinuncia mi è sembrata vigliacca, ma questo, poi, è un luogo comune. Quindi l'ho considerata infantile, una romanticona senza i piedi per terra, un'immatura...Di recente, però, ho smesso di giudicarla, quando il suo atto mi è sembrato ancora una volta la dimostrazione che ha in mano la propria vita fino alla fine: ne dispone coscientemente, e che sbagli o no, non le sfugge di mano, la domina, è la sua.
È anche lei una vittima dell'impazienza: temendo che il futuro possa in qualche modo rovinare la perfezione del proprio amore, accelera la propria fine, purché ne resti - forse stupidamente, nel proprio ricordo ma soprattutto in quello di Antoine - un'immagine priva di grinze, di ammaccamenti o di delusioni. Matilde si accontenta di andarsene portando con sé le più belle immagini, consapevole che un attimo dopo morta, anche quelle svaniranno nel nulla, inghiottite dal vortice d'acqua in cui si getta senza esitare. Giusto alla fine, dunque, le scopriamo perfino un difetto in qualche modo affine alla sua professione: un eccesso di estetismo nel voler lasciare a tutti i costi la propria relazione al suo apice pur di conservarla perfetta agli occhi degli altri.
Il suo sacrificio, nel film, sembra un suggerimento alle donne che stanno guardando: non viviamo le nostre relazioni lasciandole diventare abitudine o peggio, non perdiamo mai quella certa aria di mistero che alimenta il desiderio anche dopo anni, né quella prudenza nei modi che porta al rispetto dell'altro né soprattutto il buon gusto di non farci mai vedere al peggio, polemiche, brontolone, sciatte o malvestite (Matilde è perfetta anche quando indossa un semplice abitino a grembiule).
Nonostante una certa malinconia che la caratterizza come un lato del carattere (sempre preferibile, personalmente, a un carattere sempre gaio, che fa sospettare in un po' di idiozia o di superficialità), Matilde è un personaggio compiuto, una donna da ammirare, in un certo senso. E da amare, naturalmente.

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