Mi associo all’opposizione che oggi stigmatizza la ricorrenza di una delle
tante date tragiche della Storia che si ripete: il 10 maggio 1933 i tedeschi di
Berlino assistono muti o consenzienti al rogo che i nazisti fanno di un monte
di libri ritenuti sospetti o contrari ai principi del Reich. La carta sfrigola;
le ondate di fumo e il crepitio, sfogliano per inerzia le ultime pagine di capolavori,
prima che si riducano in cenere... Ma le idee contenute restano: non solo nella
memoria e nei cuori di chi le ha lette. Nell’aria: si nebulizzano, stanziandosi
al di sopra delle teste di legno ipnotizzate dal fuoco, e dei dittatori che
berciano la loro falsa rivoluzione: auto-celebrazione, in realtà, dovuta a
frustrazioni personali.
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"Cronache di poveri amanti" |
Il mio contributo a questa rievocazione, è una sequenza da uno dei film che
preferisco sul tema: nel 1964, Carlo
Lizzani racconta il fascismo alla riscossa in Cronache di poveri amanti. Ambientato a Firenze nel 1925, il film
racconta la vita degli abitanti del quartiere di Via del Corno. Tra questi c’è
il fabbro Maciste, soprannominato così per le sue dimensioni di gigante buono.
Una mattina, Maciste fa il suo ingresso nella via in sella ad una Harley
Davidson JD 1200 (buona citazione: la moto in effetti è del ‘26).
Evidentemente, oltre a ferrare i cavalli, ha un debole per quelli a motore:
basta vedere quant’è orgoglioso della sua moto mentre la mostra ai vicini, col
motore al minimo. Bene: l’evoluzione della storia prevede che Maciste e l’amico
Ugo, antifascisti, compiano un’azione eroica durante una nottata in cui, con il
sidecar, vanno a prelevare e a portare in salvo dei compagni perché non
finiscano nelle mani delle camicie nere. I fascisti li intercettano, e inizia
l’inseguimento per il labirinto delle vie del centro. Quando si vede perduto, il
buon Maciste esorta Ugo a saltare dal carrozzino per tentare la fuga. Lui
obbedisce, ma il salto disequilibra il sidecar, Maciste perde il controllo e
finisce contro le gradinate della chiesa di San Lorenzo: i fascisti si
accaniscono su moto e pilota, finendoli con le pallottole. Una, evidentemente,
centra il serbatoio della benzina, che prende fuoco. È un rogo. I roghi
antichi, in effetti, si facevano nelle piazze centrali, davanti alla chiesa, che
era poi l’ente che li commissionava, giustificata dalle sue idee e dalla sua
ignoranza. Auto-celebrazione....Suona familiare a quel che faceva Hitlerino coi
suoi baffetti, no? Solo che la sua morale lo portò ad un genocidio di massa
dietro il filo spinato dei campi: un rogo più discreto e senza clamori,
occultato (soprattutto per chi non voleva vedere). Alle fiamme vere condannò
solo la cultura, la carta.
Ieri meditavo...sull’onda della rinascita provata in sella alla mia
“vecchia” tedescona. Finalmente ho potuto prenderla e farci un giro lungo: ho
rivisto panorami che non vedevo da tempo, prima del lungo inverno ed anche
prima della nascita di mia figlia.. Per fortuna uno non disimpara a nuotare: le
passioni ritornano intatte, prima o poi.
Comunque: facendo tappa sul Passo del Giogo, mi sono trovata a mangiare il
mio panino in mezzo ad una banda di motociclisti tedeschi: moto miste,
stradali, moderne, bi- e quattro cilindri, e c’era anche qualche custom nuova
(?). La mia moto era l’unica a marcare il tempo, anziana rispetto alle loro. Ci
siamo ignorati. Io li guardavo mentre parlavano, di moto, presumo. Ah! C’erano
anche tre italiani, anche loro su mezzi misti: una BMW nuova, una
giapponese...e uno scooter. Cosa manca? Mi sono chiesta. Cos’è cambiato
rispetto a quando venivo qui con la mia SR, vent’anni fa (a parte il fatto che
non sono più una ragazzina)? La curiosità, forse. La sua mancanza ha generato
appiattimento, incapacità di comunicare...Ignoranza. Perché non c’è barriera
linguistica che tenga davanti ad una passione in comune, e la mia moto rappresentava
la “cultura” tra le loro: il passato, la storia. Sì: sono tanti i fuochi simbolici,
oggi, appiccati dalle teste di legno di questo mondo rincretinito..
Chiudo con una curiosità sul film, visto che è il mio mestiere: tratto
dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini, “Cronache di poveri amanti”, per
scritto, ci parla di una “Harley 750”. Errore: la Harley 750 fu prodotta nel
1929, mentre la storia si svolge qualche anno prima. Siamo davanti ad un caso
raro: è il regista Lizzani, infatti, che pur senza volere, corregge l’errore di Pratolini rivolgendosi ad un collezionista
fiorentino, perché gli fornisca una moto. Il collezionista, evidentemente più
preparato, gli offre la JD 1200. Sul finale però, non potendo ovviamente incendiare
quella, Lizzani optò per un residuato
bellico di poco valore: una WLA 750 del ’42. Ed è questa, con il suo serbatoio
rotondo ben riconoscibile, che finisce in fiamme. Un peccato, comunque.