
Lungi dall’essere un capolavoro, si
tratta di un film comunque interessante, “diverso”, e che si svolge sul filo di
una malinconia sottile, un po’ per il tema e la voce narrante, un po’ per la
complicità degli spazi in cui si svolge e della luce che vi imperversa: immense
distese pianeggianti e strade a perdita d’occhio su cui domina un cielo bianco
e che ti fanno sentire minuscolo, o una natura potente e antica, selvaggia e
immutabile, al contrario delle nostre vite mortali, irrisorie, limitate e
costrette da un’infinità di regole imposte e auto-imposte.
“Una settimana” è
quel che il protagonista, Ben, si concede dopo aver saputo di avere un cancro a
uno stadio avanzato, e lui è quasi un ragazzo. Di fronte ai duri trattamenti che
lo aspettano, e che comunque non gli garantiranno di uscirne vivo, sceglie una
terapia alternativa, che gli si offre per caso mentre, sulla via del ritorno a
casa dall’ospedale, è ancora confuso da quella che gli è suonata come una
sentenza di morte altamente probabile, e in capo a poco tempo.
Un uomo anziano – chiaramente un ex-biker dell’età gloriosa, all’aspetto –ha tirato
fuori dal suo garage un pezzo d’epoca: una Norton Commando nel ’73 (bellina...).
Ben si ferma a guardarla, e l’uomo gli dice di farci un giro: lui la vende
perché ormai non ci va più. La decisione avviene in un attimo, provocata
ulteriormente da una scritta sul bordo srotolabile di uno di quei grossi
bicchieroni di cartone in cui là, si prende da bere: “Go West Young Man”, è la
spinta definitiva.
Durante il pranzo di compleanno di suo padre, Ben rende nota la
sua situazione alla fidanzata Samantha, e deve difendersi per un po', contro l’
insistenza di lei perché non parta come un folle, e “si consegni” prima
possibile alla medicina, come un condannato...
Il viaggio, come
ogni viaggio in sella a una moto, è l’occasione per fare il punto sulla propria
vita. Ben ha diversi dubbi da chiarire a se stesso, primo tra tutti, l’amore
per Samantha, che tra le altre cose, odia le moto...Poi ripensa al proprio
lavoro di insegnante e al proprio sogno di diventare uno scrittore, ora minato,
come il resto, da un imprevisto che sembra insuperabile. Capisce che quel che
lo sta uccidendo più del cancro (o forse ciò che lo ha causato) è una vita
normale, senza aspettative particolari, povera di emozioni. Decide di recuperare all'istante. E
si concentra a vivere la sua avventura come se fosse l’ultima ma anche la prima
di una lunga serie, perché non si sa mai.
La Norton-terapia
dà i suoi frutti. Non solo il confronto con la natura risulta stimolante, ma
soprattutto il miracolo degli incontri
casuali con uomini e donne, con le loro piccole storie, testimonanze
importanti, o solo differenti modi di pensare che via via lo scuotono, gli
aprono strade.

A Toronto, Ben ci torna senza Norton purtroppo,
dopo che un autista distratto gliel’ha fatta a pezzi con una manovra maldestra
per uscire da un parcheggio.
Ben assimila ogni
momento, e apprende, matura, non si ferma davanti a niente, finché può. Il
viaggio è un’evoluzione che lo lascia tanto “nuovo” quanto esausto, disposto a
tornare dalla famiglia che lo aspetta per combattere insieme.
La fine ci lascia
in sospeso. Ad andare avanti è il sogno, il che lascia sperare bene, forse,
anche sulla vita reale di Ben: il suo libro è appena uscito, si chiama “One
week”. In copertina c’è una foto sua con l’amica Norton.
Unico difetto
evidente del film, a mio parere, anche se forse calcolato, è che l’attore ha
inequivocabilmente un viso “da insegnante”, un po’ deluso dalla vita, e con gli
occhialini da guida che si è procurato per il casco aperto, e una certa
rigidità della posizione con cui guida, non fa un grande effetto. Del resto,
forse, l’intenzione della regia era proprio quella: di mettere in sella uno che
non c’era mai stato prima, e di farlo scendere cambiato in un’altra persona, dentro. Le
moto, si sa, – soprattutto le classiche che hanno più carattere - fanno di questi
miracoli.