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Foto: Nathalie Krag |
Ma tornando alle realizzazioni tardive, ripeto, ho pensato: se è vero che i figli ormai quasi tutte li hanno tardi, si può sperare in una realizzazione tardiva anche professionale.
Sono scrittrice, ma solo perché mi ritengo tale. E mi chiedo se i casi della vita possono portare a trovare un editore quando ormai non ci si spera più. Forse la maturità letteraria si è fatta tardiva come la maternità, a causa del mondo stesso, che si è complicato. Continuo a dire "forse", e non alludo ai talenti letterari, quelli sono un caso a parte.
Io, come tanti altri, dobbiamo lavorare sodo anche solo per "sentirci" scrittori. Ma non basta: uno scrittore, anche il più surreale, il più fantasioso, attinge dal suo mondo le idee e i contenuti, a volte dal proprio vissuto e a volte da quello degli altri che ha sott'occhio o su cui legge nei giornali. Le informazioni sono tante, troppe, oggi. Gli pseudo-valori si sono affiancati a quelli veri, e i significati fondamentali hanno assunto sfumature e sfaccettature tante quante sono le umanità che si trovano a viverle. Difficile scriverne, o meglio, difficile estrapolare dal marasma una narrazione lineare, limpida. Ci si arriva con la maturità, credo, dopo i quaranta.
Per la prima volta una sofferenza familiare inaspettata e che si sta ingiustamente prolungando ben oltre il dovuto si è convertita, durante una delle mie notti bianche, in un titolo e in una struttura narrativa per la prima volta sorprendentemente chiara a me stessa: per la prima volta so che cosa voglio dire e dove voglio arrivare.

No, l'impaziernza di pubblicare era una pretesa sbagliata, e mi ha fatto soffrire il non riconoscimento, il rifiuto gentile, l'illusione di farcela "stavolta".
L'impazienza di vivere, forse, è sbagliata. La vita viene da sé, si arriva a un punto in cui i nodi si sciolgono e le cose diventano comprensibili, anche se di poco. Ma almeno se ne può scrivere.